Occorre cercare la sostanza profonda in un dialogo tra le parti che si arricchisce di elementi diversi, multiformi, ma anche profondamente sostanziati culturalmente, si tratta di individuare un codice genetico, che, proprio nella molteplicità dei linguaggi, diventa paradigma ermeneutico di immensa ricchezza. Il senso dunque di questa mostra, in uno spazio assolutamente privilegiato come quello della cripta della Cattedrale di Atri, diventa metaforicamente, e quasi sicamente, ricerca delle fondamenta e delle radici di un dialogo fecondo. Unire micro e macrocosmo nella tta rete di corrispondenze che gli artisti qui ci presentano è il nostro compito speci co; lasciarci guidare dai diversi percorsi e individuare un codice di lettura che si fa alchimia dell’immagine.
Spazi di silenzio, oggetti che si caricano di signi cato, luce. Ignacio Llamas fa emergere dal buio gli oggetti e l’aria si rende rarefatta, misteriosa e gli oggetti, che paiono sabbiati e riportati all’essenziale, acquistano sostanza meta sica. Una meticolosa eliminazione di tutto ciò che è elemento identi cativo. Eppure questo spazio sacro, dove tutto sembra puri cato, è allo stesso tempo accogliente, luogo di tutti e per tutti, spazio dell’anima. La valigia, l’albero, un qualsiasi altro oggetto, sono colpiti da una luce diagonale, caravaggesca che dà senso ai minimi particolari; l’artista si fa inventore, direi scultore, di un luogo/altro, uno spazio improbabile ma necessario, desiderabile, come un sorso d’acqua pura.
La sperimentazione materica, il sedimentarsi dell’impronta, l’opera del fuoco, del ghiaccio, della trasparenza della materia attraverso i medium più diversi sono la realtà essenziale del lavoro di Olga Simón. L’artista lavora per la creazione di una spazialità misteriosa, diafana, che avvolge e incanta perché inusitata. Il suo vocabolario dell’assenza, direbbe Didi- Huberman, consiste nell’essenzialità e trasparenza di forme che diventano gocce, lacrime condensate e cristallizzate. Ciò che resta di un ricordo, di un dolore consumato e trasformato: imago mundi.
Fernando Sordo propone una ricerca sulla materia e sullo spazio, un percorso rituale, che sa incantarsi su un’ombra o un’impronta che appare e poi scompare furtivamente, “sangue della luce”3. Una ricerca che non vuole dare risposte ma è domanda che vuole restare tale. Il tutto nel frammento che si fa indagine onesta e sincera e linguaggio di segni che guardano all’in nito.
Analogamente Soledad Córdoba si serve di simboli che rimandano ad un mondo interiore straordinariamente ricco. E’ l’inaugurazione di un tempo dello sguardo, di immagini-sintomo che rivelano l’inquietudine del presente, dell’incomunicabilità, in una dimensione onirica che sovrasta e che rivela timore e desiderio di evasione al contempo. Le sue fotogra e ci portano in un paesaggio trascendente in continuo dialogo con la natura, le piante, le farfalle, e che sono spazio aperto alle domande sul senso del presente.
Al chiasso dei linguaggi altisonanti Anna Talens oppone gli objets trouvés e il fascino della materia naturale. La capacità di rielaborare oggetti che appartengono ad ambiti diversi cati e che compongono paesaggi spiazzanti sono uno dei tratti caratteristici del suo lavoro. Nei site speci c dialoga tra gli opposti: la sacralità dell’oro e la decadenza degli spazi, la creazione di manufatti insospettabili e la perfezione di un’architettura. Il prodotto è la generazione di storie che raccontano e dipanano la complessità delle dinamiche esistenziali, si aprono allo stupore e alla sorpresa di qualcosa che non conosce precedenti.
Marta Michelacci
1. Gregorio Magno, Lib. X, Epistola LII Secondinum, in PL, 77, Coll. 990-91.
2. M. Heidegger, The Origin of the Work of Art, Sentieri interrotti, translation by P. Chiodi, Firenze 1968.
3. Claudio Parmiggiani, Stella Sangue Spirito, Parma 1995.