In Cina ha sede il più grande studio cinematografico del mondo, la Hengdian World Studios, nel 2012 quello cinese è diventato il secondo più grande mercato al mondo per incassi. In base a queste due considerazioni, oltre al fatto che ci si trova davanti ad un cinema decisamente sommerso rispetto al vicino e cugino cinema nipponico (di cui si conoscono in Occidente molti più film e molti più registi), è il caso di gettare uno sguardo su di esso, sguardo che si concentra sugli esempi più significativi degli ultimi anni, che abbraccia anche le ultime tendenze. Ormai da tempo la Cina è cresciuta come Paese economicamente sviluppato sull’onda della globalizzazione e, sui flussi della crisi economica occidentale o comunque dei Paesi tradizionalmente industriali, si è ritrovato a essere, insieme al Brasile, all’India e alla Russia un Paese che economicamente ormai detta legge (cosa impensabile fino a qualche decennio fa). Il cinema degli ultimi anni riflette anche tale aspetto concentrandosi anche e soprattutto sull’antinomia, spesso lacerante, tra conservazione sempre più problematica della tradizione e una modernizzazione con cui fare i conti. Ciò si riflette sulle storie raccontate nei film che andremo a vedere, opere che gettano uno sguardo su una realtà composita e stratificata come quella cinese, decisamente poco nota in Occidente, così come poco noti sono di solito i suoi film, a parte qualche caso atipico come quello clamoroso di Zhang Yimou il cui LANTERNE ROSSE rimane forse il film cinese più famoso a livello mondiale (dello stesso regista è stato scelto però un altro titolo vista la grande notorietà del lavoro citato). Si tratta difatti di uno dei pochi fenomeni cinematografici del cinema cinese in quanto a notorietà mondiale, così come lo è LA TIGRE E IL DRAGONE (comunque film di coproduzione, anche con gli Stati Uniti) di Ang Lee che però, oltre a essere un cineasta di Taiwan, ormai è diventato cosmopolita a tutti gli effetti e forse il regista orientale più noto di oggi (d’altro canto il fenomeno dei film sulle arti marziali, in primis quelli con Bruce Lee, sono un fenomeno del cinema di Hong Kong, non di quello cinese in senso stretto). Il nostro sguardo si attesta quindi su quei registi della cosiddetta quinta e sesta generazione che ormai, altra antinomia lacerante, pur essendo di natura ragguardevole in termini puramente cinematografici, vengono spesso censurati da un regime aspro come quello cinese, visto per come rappresentano spesso aspetti duri della realtà del Paese ritratto senza veli. Ugualmente importante una nuova genia di documentaristi cinesi che ormai si vanno imponendo da tempo sui mercati e nei festival di tutto il mondo: e visto che però non trovano spazio nella normale programmazione cinematografica, si è deciso di inserirne un esempio tra i più acclamati degli ultimi anni, ossia BEHEMOTH di Zhao Liang, censurato in passato in Cina ma che oggi possiamo comodamente vedere almeno in Europa.
Rassegna a cura di Pino Bruni